NE PIÙ, NE MENO

C’era una volta un pappagallo che, a detta di tutti, era stato baciato dalla fortuna. Tutto è cominciato quando il Re e la Regina lo acquistarono come regalo di compleanno per il loro cucciolo, il principino Giovanni: da quel momento, al pennuto furono assegnati niente meno che un servo, per curarne la salute e il decoro, e un addestratore per insegnargli il linguaggio degli umani. Pare infatti che il Cenerino, in particolare, si distingua tra i pappagalli come il miglior imitatore e oratore, e che possa addirittura imparare a rispondere alle domande con frasi di senso compiuto. Lo chiamarono Anacleto.

Oltre ad essere fortunato, ovviamente, era anche incredibilmente bello, tanto che tutti gli ospiti illustri che si recavano a far visita ai regnanti si fermavano ad ammirarne il meraviglioso piumaggio sulle sfumature del blu (tra l’altro in perfetto contrasto con la lucente gabbia dorata) e si dilungavano poi in elogi e complimenti.

Poiché il Re era molto ricco ed aveva potere su un territorio proprio vasto, feste e ricevimenti erano all’ordine del giorno. Nonostante ciò Giovanni non aveva molti amici, e neanche la scuola poteva dargli occasione di conoscere qualcuno dato che aveva sempre studiato a casa con maestri privati.

Fin dai primi momenti passò quindi un sacco di tempo con il suo Anacleto, tenendolo vicino anche quando studiava, leggeva e si ripeteva le cose ad alta voce. In questo modo, pensava, il suo amico avrebbe imparato a parlare ancora prima di quando l’addestratore aveva previsto. Non vedeva l’ora di scambiare qualche parola con Anacleto anche perché, a parte gli insegnanti, nessuno in casa sembrava avere mai il tempo di dargli retta: sua madre e suo padre erano sempre troppo indaffarati e, nelle rare occasioni in cui erano insieme, gli parlavano solo di proprietà, ricevimenti e politica. I regali non mancavano certo, ma quello che gli girava per la testa, i dubbi, le paure, le curiosità ed i suoi sogni segreti sembravano non interessare a nessuno.

Di anno in anno, il principino divenne prima un adolescente dal cuore ribelle e poi un giovane adulto in preda agli sbalzi d’umore e alla nevrosi, proprietario di un’ala dello sfarzoso palazzo; Anacleto invece, nella sua nuova gabbia d’oro più lunga, più larga e più alta, non aveva ancora detto neanche una parola e nessuno si spiegava il perché.

Un giorno l’addestratore fu licenziato e il principe, in collera con il volatile, lo restituì ai genitori facendosi promettere che non lo avrebbe mai più rivisto. Questi posizionarono allora la gabbia nella sala dei ricevimenti e degli incontri diplomatici, così che potesse fare da ornamento con la sua bella e silenziosa presenza dato che altra utilità sembrava non potesse avere. Era la sala in cui si discuteva, appunto, di politica nazionale ed internazionale, i cui piani riguardavano essenzialmente la conquista di nuovi territori, le guerre e le eventuali azioni di repressione.

Quando il principino divenne a tutti gli effetti un principe, raggiungendo la maggiore età (e anche qualcosa in più), il Re e la Regina decisero di provare a dare fiducia a quel giovane figlio con il quale era diventato così difficile comunicare, e lo coinvolsero nella politica del regno. Si riproposero valutare per un certo periodo il modo di porsi dell’erede di fronte alle problematiche legate al mantenimento del potere della famiglia, per poi decidere se sarebbe stato in effetti degno del trono oppure se sarebbe stato meglio garantirgli per sempre una vita agiata e spensierata ed affidare le questioni politiche a persone esterne.

Giovanni cominciò così a partecipare a tutti gli incontri diplomatici rimanendo, inizialmente, un osservatore silenzioso. A un certo punto però, capendo meglio gli argomenti trattati e intravedendo la possibilità di acquisire molto potere in futuro, cominciò a interessarsi e ad intervenire nelle discussioni.

Una sera si discuteva di un problema che da qualche tempo si era ingigantito e stava rischiando di mettere a rischio la tenuta del patrimonio di famiglia: molti cittadini e agricoltori non pagavano le tasse, in parte o del tutto, e tutti gli interventi intimidatori e ricattatori adottati fino a quel momento, come la prigione, lo sfratto o il sequestro di beni, non sembravano capaci di arginare la situazione. Fu proprio in questa occasione che il principe prese la parola, con decisione, per esporre la propria (a suo dire brillante) idea:

«Signori, io dico che stiamo sbagliando tutto: credo infatti che il nostro concetto di dominio sia oramai obsoleto, in quanto limitato ai soli beni materiali, ai terreni, ai soldi. Noi siamo dotati di un’intelligenza superiore, come dimostra il tempo immemore da cui persiste il potere della mia famiglia. Ora dobbiamo ampliare i nostri concetti di potere e di proprietà, allargarli affinché comprendano tutto ciò che è davvero fondamentale nella vita: che cosa intendo?

Sto parlando del sole, dell’acqua e dell’ossigeno che è contenuto nell’aria, i quali permettono all’uomo di sopravvivere. Queste cose, che la natura mette a disposizione di tutti, possono essere solo nostre e possiamo toglierle a chiunque non accetti il nostro potere e non rispetti gli obblighi da noi stabiliti

Gli uditori rimasero in silenzio per un po’ dopo le parole che il giovane aveva appena declamato. Non potevano credere che si sarebbe spinto a tanto, non si aspettavano una tale durezza. Non sapevano se applaudire o provare a farlo ragionare.

Dopo una decina di secondi, però, qualcuno parlò:

«S T O L T I !», disse la voce del principe.

Ma lui, Giovanni, non aveva aperto bocca.

Nella sala il clima già teso divenne glaciale. Nessuno sembrava aver capito, ma molti si voltarono tremanti verso la gabbia d’oro dalla quale Anacleto li osservava dal trespolo più alto.

Laura Ometto

«Non capite, e mai imparerete dai vostri stessi errori. Continuerete a ripeterli per sempre, dall’alto della vostra intelligenza. La natura vi ha regalato questa dote, ma non la sapete usare che contro voi stessi» continuò l’animale.

Il principe, basito come gli altri, sgranava gli occhi impressionato dal fatto che fosse la sua stessa voce a parlare.

«La storia si ripete», proseguì, «e voi umani volete sempre andare oltre, superarvi, imporre voi stessi sopra ad altri voi stessi, senza capire che se non date un limite a quello che volete avere oggi, non ce ne sarà più per domani. Anzi, non ci sarà nemmeno un domani! La natura insegna, e voi dovete ascoltarla! Volete appropriarvi di ogni sua bellezza ed io ne sono la dimostrazione, come lo sono i mobili intarsiati, fatti di centinaia di legni diversi, di cui siete circondati.

Bellezza rubata e messa a vostra disposizione, vostra e di nessun altro, per darvi ogni giorno l’illusione di essere superiori ad altri della vostra specie. Non è sbagliato possedere, ma è sbagliato possedere per il solo gusto di farlo, senza condividere. La natura ha messo queste cose a disposizione di tutti, e voi ve ne siete appropriati senza diritto.

Ora l’acqua, il sole, addirittura l’ossigeno: più volte nella storia sono stati fatti dominio di qualcuno e sottratti ad altre persone.

Ma la natura, fin da prima che l’uomo esistesse, ha fatto sì che ciascun essere vivente, animale o vegetale, potesse disporre per tutta la sua vita di ciascuno di questi elementi fondamentali solo nella giusta misura in cui il proprio organismo ne ha bisogno.

Non potreste respirare più ossigeno di quanto ne ispirate di volta in volta, come le piante non possono prendere più sole di quello di cui necessitano; se di acqua ne accumulate in eccesso, vi farà male. È questo il meccanismo della natura, e solo in questo modo le risorse sono di tutti. A nessuno degli organismi naturali, che rispettano questa regola fondamentale, manca qualcosa. Voi umani invece vi scannate per inseguire l’illusione di poter vivere meglio; ma è un benessere momentaneo, e quello che sottraete ad altri oggi, un giorno finirà per tutti, anche per voi stessi.

Le risorse essenziali per la vita, così come la bellezza di cui gli occhi e tutti i sensi hanno bisogno di nutrirsi ogni giorno, perché siano tali non si possono possedere che nella quantità giusta in ogni istante. Ne più, ne meno. Altrimenti scegliete il male, anche per voi!» E dopo qualche secondo concluse: «Poi non dite che non ve l’avevo detto!»

Alessandro Navarin

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