BUONA sFORTUNA

“Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile.

Albert Eistein

Parcheggiata la macchina nel garage, avevo deciso di rimanerci ancora qualche minuto per ascoltarmi la canzone fino alla fine. A motore spento, trovavo che l’abitacolo fosse un luogo magico in cui cantare a squarciagola o semplicemente lasciarsi coccolare da una miscela di ritmo e armonia.

Dalle chiavi ancora infilate nel quadrante, dondolavano i miei tre portachiavi preferiti: una medaglietta con la raffigurazione del Divino Niño, un’altra con tre soggetti tratti da “Alice nel paese delle meraviglie” e un souvenir marocchino a forma di nimcha. Sono tre doni inattesi ricevuti in tre momenti diversi della mia vita: il primo è stato il ringraziamento da parte di una paziente che di lì a poco sarebbe tornata a casa in Venezuela per festeggiare la tanto sudata guarigione; il secondo il ringraziamento di una delle mie migliori amiche per alcune medicazioni alla gamba; il terzo, invece, il grazie per una commissione al supermercato, svolta prima di montare in turno di notte, da parte della mamma di una paziente ricoverata. Io non sono superstizioso, tuttavia considero ciascuno di questi tre oggetti come un portafortuna straordinario perché proveniente da un mio “angelo custode terreno”.

Questa è, per me, la traduzione in concreto del concetto di fortuna.

L’annosa questione dei portafortuna, purtroppo strettamente legata a quella dei porta-iella, non si risolverà mai, esattamente come quella del cibo che fa bene e di quello che fa male, dei segreti per campare fino a cent’anni e di quelli per vivere per sempre felici e contenti.

Francesco Guccini potrebbe portare gli esempi del matto che rise a crepapelle fino alla fine, o di quello che “in preda a pensieri lubrichi, andò sotto un camion di fichi”.

A volte le cose per le quali ci riteniamo fortunati sono quelle che ci procurano più danno, e allo stesso modo quelle che chiamiamo sfortune nascondono tesori preziosissimi.

Credo comunque che a stare tranquilli perché ci si sente fortunati o a stare in ansia perché ci si sente terribilmente sfortunati…beh, si sbagli in ogni caso.

A questo proposito mi sovviene la storia di Armido, un uomo sui quaranta durante le sue giornate che soleva lamentarsi sempre di tutto. Sosteneva per esempio di non essere abbastanza bello, o abbastanza ricco, di non piacere a nessuno e che addirittura la gatta di sua sorella, che solitamente era coccolona con tutti, non se lo filava di striscio.

Conduceva la sua vita in solitudine, con un lavoro, una casa, un’auto e qualche spicciolo in banca. La quotidianità lo annoiava e ogni volta che qualcuno gli chiedeva “Come va?” lui rispondeva “Tiriamo avanti”.

Con la sorella, la padrona della suddetta gatta, quando si vedevano o si sentivano al telefono andava d’accordo per qualche minuto poi solitamente litigavano per un futile motivo. Nonostante ciò lei, pur non abitando troppo lontano da lui, lo chiamava ogni due o tre giorni e andava anche a trovarlo piuttosto spesso. Lei gli voleva molto bene; lui, dal canto suo, pensava che lei fosse molto fortunata ad avere un lavoro, una casa, un’auto, il dannato gatto, una famiglia e molti amici, e che un po’ di quella fortuna se la sarebbe meritata anche lui. Invece niente… era la vita, pensava.

Un giorno, mentre attraversava i giardinetti andando a fare la spesa, una scena catturò per qualche secondo la sua attenzione: un bambino stava giocando con un aeroplanino di plastica tenendolo in alto con la mano e correndo per farlo volteggiare in aria come una freccia in parata mentre con la bocca ne riproduceva il rombo dei motori. Ad un tratto il bimbo, distratto dalla presenza di un altro uomo anziano che passava di lì, si fermò e si voltò verso di lui esclamando:

«Ciao!»

«Ciao!», rispose questi sorridendo, «Che bell’aeroplano!» aggiunse.

«Sì, ma è finto…» specificò il piccolo, lanciando un’occhiata al papà a pochi passi da lui.

«Non se n’era accorto il signore!» fece quest’ultimo rivolto al bambino, ammiccando all’anziano.

«No, non me n’ero accorto infatti!» disse il vecchio continuando a guardare il piccolo, «perché, guidato da te, pare proprio un vero aeroplano! Altroché finto…»

Il papà parve non afferrare, ma il piccolo fu pronto: «Infatti è vero!», e ricominciò a pilotarlo come stava facendo.

Poi l’uomo si rivolse al padre del bimbo, «Se lo tiene in mano uno di noi due è solo un aeroplanino di plastica, ma se lo pilota lui è un vero aeroplano! Anche i miei aeroplani di legno, quando ci giocavo da piccolo, erano veri. Accidenti se lo erano! Buona giornata, arrivederci!»

Salutò con l’occhiolino quel giovane padre che continuava a guardarlo un poco stupito, e proseguì per la sua strada. Così fece allora anche Armido, affrettando un po’ il passo verso il supermercato.

La sera, quando la sorella venne inaspettatamente a fargli visita portando con sé una doppia porzione della torta che aveva appena fatto per provare una nuova ricetta, ancora ci stava pensando.

«Che c’è?» fece lei, appoggiando distrattamente l’incartamento incellofanato sul tavolo del soggiorno «Hai una faccia, tutto ben… oh cavolo!»

Quella mattina prendendosi i pantaloni dall’armadio aveva spezzato senza volere la gruccia in plastica dalla quale pendevano, lisci di stiratura. Gli era già successa una cosa simile da piccolo, prima di un compito a scuola, e gli aveva procurato un bel 4 sul registro. Siccome non era ancora successo nulla di strano durante il dì appena trascorso, era chiaro che la tragedia si sarebbe consumata nel dopo cena: l’arrivo della sorella, a sorpresa, non poteva che esserne il preludio.

“Eccola lo sapevo! Eh ti pareva…”, disse lui tra sé.

Laura Ometto

«Scusami… non l’avevo visto, ma anche tu ad appoggiare la tazza di camomilla sul bordo del tavolo devi essere proprio un genio! Poi una di questo servizio che sembrano fatte apposta per cadere…»

«Sì, ed è per quello che me le hai rifilate, vero??» replicò lui, pronto e tronfio.

«Ah! Rifilate?! Non volevo buttarle perché, come ben sai, sono di nostra madre ed io non posso certo usarle a casa mia con i bambini e con Pallina che ogni tre per due sale sulla tavola per cercare sgraffignare qualcosa. Oramai non ne sarebbe rimasta neanche mezza di quelle tazzine.»

«Pallina… dovresti chiamarla Pallona quella salama da sugo!»

«Ehi! Non azzardarti mai più e smettila di essere così acido, faresti venire la bile anche ai santi! Sai cosa ti dico, che ti avevo portato la torta e invece, come l’ho portata, me la riporto anche a casa.»

«E la camomilla che hai rovesciato chi la pulisce?» fece lui con aria beffarda.

«Tu, così ti sfoghi per bene, iena!»

«Oh, che signora…»

«E buonanotte!» concluse lei sbattendo la porta.

La mente ancora un po’ confusa dalla scena a cui aveva assistito al parco e da un’infinitesimale riflessione autocritica sul suo modo così brusco di trattare le persone, non lo fecero riposare bene. Lo sapeva benissimo che scaricava sugli altri l’insoddisfazione per la sua vita piatta e noiosa, ma non gli veniva proprio nessuna idea su come accaparrarsi un po’ di fortuna.

L’indomani mattina si alzò più stanco della sera prima e si preparò per andare all’ufficio postale a svolgere alcune commissioni. Lamentandosi tra sé per la calura eccessiva, per non parlare poi dell’umidità che… mannaggia a lei se non era la causa di tutti i mali, giunto a destinazione ebbe subito modo di constatare che molti altri avevano pianificato in modo sovrapponibile al suo i loro spostamenti di quella mattina. E gli fu chiaro soprattutto quando, superata la porta automatica, trovò che la sala era già piena zeppa di nervosissimi esseri umani. Un breve scambio di battute con l’ultima persona in attesa, in ogni caso, lo mise tranquillo:

«È pieno di gente, due dipendenti sono andati a bere il caffè e noi siamo qui ad aspettare! Ma si può? Non ho parole» gli fece un tipo in cerca di facile approvazione.

«Ah, le cose non cambieranno mai. E andremo sempre in peggio» replicò lui cercando il compatimento cosmico.

«È quello che dico anch’io!» concluse l’altro soddisfatto, prima di estrarre lo smartphone dalla tasca posteriore dei pantaloni e fingere di dover gestire affari internazionali.

Dopo circa un quarto d’ora di rassegnata attesa accadde però qualcosa di inaspettato. Armido si sentì strattonare la giacca e strappare il taschino tanta era la forza che lo trascinava verso il basso.

Non cadde, anzi, ma non appena si girò di scatto con l’intenzione di difendersi da quello che certamente era un tentativo di scippo in piena regola, vide la vecchia, che fino a un secondo prima gli stava di fianco, a terra e apparentemente priva di senso. Qualcuno stava già provando a tenerla alla meno peggio e non farla cadere a peso morto sul pavimento; quella che doveva essere la figlia gridava “Mamma! Mamma!!!” in faccia all’anziana.

Armido, che in quel contesto apocalittico era, suo malgrado, al centro della scena, senza pensare più alla giacca strappata disse a quella che doveva proprio essere la figlia di calmarsi e di aprire un po’ il maglione e la camicetta dell’anziana madre, a un uomo tatuato disse di alzarle le gambe e allo stesso tempo stava già componendo il numero per chiamare un’ambulanza. Mentre aspettavano, cominciando a realizzare l’accaduto e ad agitarsi a sua volta, seguì le istruzioni telefoniche della centrale operativa e rispondeva alle domande che gli facevano. Fortunatamente la situazione non sembrava (e in effetti non era) così grave, infatti, riavutasi, la malcapitata ebbe a dire e a ripetere ai soccorritori che non voleva saperne di andare via con l’autolettiga!

Tornò a casa per pranzo che era stravolto, confuso, stupito, sfinito, felice… non lo sapeva nemmeno lui. Ma che aveva fatto? Aveva agito senza pensarci su! Neanche riusciva a realizzare come si stava sentendo ora, in effetti, senza un filo di fame ma con un senso di appagamento che non provava da anni. Quella vecchia, i complimenti dei presenti, gli accorati ringraziamenti di quella che si era appurato essere la figlia che lo aveva guardato come come fosse un salvatore. Era confuso ma gli pareva di stare insolitamente bene con sé stesso e con gli altri… decisamente anomalo, decisamente strano, santo cielo!

Avrebbe tanto voluto raccontare quel fatto a sua sorella ma lei quella sera, in cui lui era a cena da loro, non rinunciò a mostrargli ancora un po’ di risentimento per lo sbotto dalla sera prima. La furbona però si fece gentile e umile quando, dopo cena, si avvicinava il momento di avanzare la richiesta che rappresentava il vero motivo dell’invito.

Dopo il dolce e il caffè, e la suddetta gatta da pelare che gli avevano appena rifilato, Armido si era congedato con svariati sorrisetti di circostanza, ben piazzati nei momenti giusti, maledicendosi mentalmente per essersi reso disponibile ad una richiesta così indecente.

Così, la mattina seguente al giorno z-e-r-o, il buon Armido non poteva che essere di pessimo umore. Si diceva più volte che la cosa sarebbe durata solo una settimana, come aveva fatto spesso nei giorni precedenti, ma non serviva a un granché. Non c’era nessuna sveglia da spegnere, non c’era il lavoro perché era in ferie. No, niente di tutto ciò, ma c’era ben di peggio. Il rumore delle unghie sulla porta finestra del soggiorno, al risveglio, era un rumore che proprio…lui non ce la poteva fare. Solo una settimana. Solo… il rumore cessò per qualche istante poi riprese, determinato. Sembrava dire: “Alzati umano, è ora che tu mi serva la seconda colazione!”. Proprio così, erano le 8:30 in punto, come gli aveva pronosticato suo cognato, esattamente com’erano le 5:30 esatte quando quell’essere peloso sembrava gli stesse dicendo: “Alzati umano, servimi la prima colazione e poi fammi uscire!”. Una cosa ridicola, e lui aveva accettato senza fare troppe storie per giunta! Non lo avrebbe più riconosciuto nemmeno sua madre se lo avesse visto in quella situazione considerato il caratteraccio che aveva sempre avuto. Era a servizio della dannata salama da sugo, detta Pallina in memoria dei vecchi tempi in cui non era ancora sovrappeso. E non era lei ad essere sua ospite, ma il contrario: era lui ospite della gatta per non crearle traumi da cambio d’ambiente. Visto che non aveva niente da fare per le ferie, aveva accettato di trasferirsi nella villetta con giardino della sorella con tutte le libertà del mondo e la sola condizione di fare da governante alla scrofa pelosa, che tra l’altro continuava a non volere farsi accarezzare da lui.

E fu sera e fu mattina: giorno due.

La sera prima, tornato da una cena tra colleghi, non vedendo anima viva ad attenderlo alla porta per entrare, aveva chiuso la porta dicendosi allegramente: “Domattina si dorme!”.

Ore 5:10: un lagnoso miagolio si insinuò prima tra i suoi sogni e poi nel buio della stanza. Poco dopo realizzò che qualcosa non gli quadrava e, mentre la Pallona sgranocchiava i suoi croccantini capì che il gatto doveva trovarsi in qualche punto della casa già dal tardo pomeriggio precedente (e non in giardino come lui erroneamente pensava).

Ore 5:25: dopo l’abbeveraggio, il gatto esce.

Ore 8:30: rientro dal giardino con una talpa in bocca, deposizione della talpa sullo zerbino e annuncio del trofeo con 4 minuti di pomposi miagolii lirici. Dopo la cerimonia, rimozione della talpa e lavaggio dello zerbino dai resti delle sue spoglie mortali.

Resto della giornata privo particolari degni di nota.

E fu sera e fu mattina: giorno tre.

Ore 5:15: consueto appuntamento con l’obesa pelosa, rimpinguata la ciotola e cambiata l’acqua come richiesto dallo sguardo stanco della quadrupede. Fatta uscire.

Ore 8:30: nessun trofeo di caccia oggi al rientro, tutto regolare.

Armido, rientrato dal giardino dopo aver svolto alcuni lavoretti che aveva rimandato il giorno prima, trova un sms della figlia della famosa vecchia, appena dimessa dall’astanteria, che lo invita a casa loro a bere qualcosa di fresco nel pomeriggio.

“Certo, ci sarò con piacere, grazie dell’invito!” disse tra sé Armido auto-dettandosi la risposta mentre la componeva.

Dopo pranzo aveva realizzato che pareva brutto onorare un invito arrivando a mani vuote. Non essendo abituato a questo genere di cose e pensò di farsi consigliare dalla sorella la quale, dopo avergli estorto tutte le informazioni che volevano lei e le sue figlie sulla salute della Pallina e del giardino, gli aveva suggerito di portare una pianta o dei fiori per la vecchia. Uscì di casa mezz’ora prima e, consigliato dal fioraio, riscosse poi un discreto successo con un’orchidea.

Rientrò all’ora di cena pensando che erano proprio delle brave persone. Erano rimasti d’accordo che domani l’altro sarebbero venuti a fargli visita la Paola (figlia della vecchia) con i suoi due figli (Federico e Anna) di 10 e 12 anni, che oltretutto aveva scoperto essere amanti dei gatti e incapaci di resistere alla possibilità di coccolare un persiano di razza.

Ore 22:02: la palla pelosa vuole uscire.

Ore 22:10: pensando che tanto non sarebbe mai potuta fuggire dal giardino, Armido si disse che in fondo non c’era nulla di male ad accontentarla. Così l’indomani niente alzataccia!

Ore 22:20: ottenuto via sms il benestare dei padroni dell’animale (divenuto relativamente collerico per l’attesa protratta), lo lasciò finalmente uscire per la gioia di entrambi.

E fu sera e fu mattina: giorno quattro.

Ore 8:00: qualcosa raschiava contro una finestra in lontananza, forse al piano di sotto, forse da un po’. Era sicuramente la gatta. Era sicuramente alla porta finestra del soggiorno. Buongiorno.

Le aprì e si accorse subito che, stranamente, non stava miagolando come faceva di solito. Silenziosa e lenta andò a sedersi sul tappeto, persiano anch’esso, poco oltre la soglia; pochi secondi dopo, due colpi di tosse e poi, di getto, ci vomitò sopra.

«Eccellente!», esclamò lui.

La Pallina poi si era subito diretta verso il suo cesto per schiacciare un pisolino.

Circa due ore dopo si alzò e il governante era lì nei paraggi: lui infatti, dopo aver lavato e messo ad asciugare il tappeto, era rimasto a casa per monitorare la convalescenza del felino il quale ora, assonnato e debole (più del solito), si era diretto verso un angolo della cucina per vomitare nuovamente. La cosa più preoccupante di tutta la faccenda era che non si era neanche avvicinata alla ciotola dei croccantini né a quella dell’acqua. Lui chiamò allora la sorella che, con voce ferma per soffocare la commozione, gli disse che sarebbe dovuto andare subito dal veterinario. La gabbietta si trovava in garage, con tanti auguri!

Ore 11:00: avrebbe voluto farsi una doccia e medicare il graffio sulla mano ma alla fine si accontentò di una sciacquata sul lavandino di un’altra botta di deodorante.

«Ha detto la tua padrona che non dice nulla ai bambini per non farli preoccupare, quindi vedi di stare meglio e in fretta. Tra l’altro domani ricordati che devi essere in forma per Federico e Anna!»

La felina lo ignorò. “Speriamo bene!” pensò Armido, decidendo che avrebbe atteso l’indomani per avvisare la Paola di un’eventuale disdetta.

Ore 11:35: dal veterinario la sala d’attesa era vuota.

«Buongiorno! Ha i documenti della gatta?»

Glieli diede.

«Che cos’ha Pallina?» disse la veterinaria colorandosi di un sorriso.

«Stamattina ha vomitato due volte e non ha toccato cibo. Mi creda, è molto strano. Cosa crede che le sia successo?»

«Ha mangiato qualcosa di strano ultimamente? Ha avuto anche diarrea?»

«Io le ho dato solo i suoi croccantini. No, non ha avuto diarrea che io sappia. Non so se magari stanotte possa averla avuta, ha voluto trascorrerla fuori casa, in giardino.»

«Eh, con questo caldo è normale. Forse ha mangiato qualcosa di strano fuori. Mi ha portato un po’ di vomito?» disse visitando l’animale, ora incredibilmente docile.

«Cosa?! No, mi scusi, non ci ho pensato.»

«Va bene non fa niente, comunque se ha mangiato qualcosa di strano la cosa dovrebbe risolversi entro domani al massimo, altrimenti me la riporti.»

«Mi scusi se glielo chiedo, ma il gatto è di mia sorella ed è con me questa settimana solo perché loro sono in vacanza: è normale che il pelo abbia di questi nodi qua e là? Di solito vedo che ha il manto omogeneo, anche se da me non si fa toccare…» azzardò la frecciatina alla paziente.

«La pettina regolarmente?» chiese la dottoressa.

«Beh… quanto regolarmente?» chiese Armido, intuendo il problema.

«Almeno una volta al giorno.» fece lei, lapidaria.

In quel momento si ricordò di quando sua sorella gli aveva detto di farlo e lui, come meccanismo di difesa, aveva rimosso la cosa all’istante. Il sudore tornò a presentarsi, assieme a una tachicardia ingravescente.

Appena ne ebbe la forza azzardò: «Che faccio adesso? Da me non si fa toccare!»

Lei scoppiò in una fragorosa risata: «Lo farà, si fidi, deve solo capire che si può fidare di lei. Guardi, visto che non c’è nessuno le taglio via io questi nodi che non si possono sciogliere, poi lei oggi pomeriggio la pettina a dovere, e poi domani e così via, ci siamo capiti?»

«Credo di sì.»

Lei in 5 minuti, con mano esperta, rimosse i nodi ormai irreversibili e poi, dopo avergli fatto un breve tutorial su come si pettina un gatto persiano, gliela riconsegnò tranquilla nella gabbietta.»

«Vedrà che andrà tutto bene» lo rassicurò.

«Voglio credere alle sue parole…» fece lui, e lei rise.

Quindi, pagato il conto, si congedò: «Grazie e arrivederci.»

«Arrivederci» lo salutò lei, cominciando a risistemare l’ambulatorio.

Ore 19:45: Pallina, dopo aver dormito tutto il pomeriggio, si alza. Va a mangiare 5 croccantini e a bere due linguate d’acqua.

Ore 21: Pallina non ha ancora vomitato e va a mangiare ancora qualcosa.

Ore 22: tutto bene, ma è giunto il momento.

Mentre la gatta dormiva sul tappeto pulito lui prese il pettine e le si avvicinò accarezzandola piano. Lei sembrò non scomporsi. Così procedette per gradi, lentamente e con una cortesia che non aveva mai usato con nessuno. Poco a poco si prese sempre più confidenza per cercare di fare un lavoro accurato.

Ore 23: il gatto è pronto per vincere una sfilata Incredibile!

Ore 23.30: Armido si addormenta davanti alla tv, visibilmente soddisfatto della giornata.

E fu sera e fu mattina: giorno cinque.

Ore 3:20: Armido si sveglia in divano, con la luce accesa, la tv accesa e il collo bloccato. Il gatto dorme. Spegne la tv, spegne la luce e, arrancando, sale le scale verso un letto vero.

Ore 9:00: il suo orologio biologico, coadiuvato dalle unghie della Pallina sulla finestra, gli dicono che è il momento di alzarsi.

«Ok, prima mangi e poi vai fuori, ma ti tengo d’occhio!»

Mise davanti alla gatta la ciotola e lei la lucidò. Poi bevve, quindi le aprì la porta. Dopo una frugale colazione uscì anche lui per togliere un po’ di erbacce qua e là.

«Oggi abbiamo ospiti!» disse al felino.

Lei lo ignorò, continuando a fare le sue cose.

Ore 15:58: puntuali arrivarono Federico, Anna e la mamma Paola.

Quando ai due piccoli fu presentata la Pallina impazzirono letteralmente e se la coccolarono un sacco. A dire il vero la cicciona pelosa ci sapeva fare coi bambini, sembrava ringiovanire in loro presenza anche quando erano a lei sconosciuti! Con la Paola invece era un piacere chiacchierare, davvero, e gradì molto l’infuso fresco alle ciliege selvatiche che Armido le offrì (su consiglio della commessa del negozio dove aveva fatto un salto il pomeriggio prima in vista di quell’occasione).

Ore 20: salutati gli ospiti, lui e Pallina cenarono. Erano stati bravi.

Ore 23:30: tutti a letto.

E fu sera e fu mattina: giorno sei.

Ore 5:30: Pallina lo richiama in servizio e lui come uno zombie agisce automaticamente, prima come cameriere e poi come usciere, per poi tornare a letto.

Ore 8:40: si svegliò prima che lei cominciasse graffiare la porta.

Scese e le aprì.

Un’altra cosa che Armido aveva dimenticato era che Pallina aveva un debole per lo yogurt. Glielo aveva detto suo cognato il giorno in cui erano partiti. Se ne ricordò quando, aperto il frigo e preso uno yogurt alla fragola scaduto il giorno prima, ne staccò la lamina protettiva per esaminarne lo stato di conservazione e, nel mentre, la quadrupede orientale fece capolino in cucina. Aveva sentito il rumore dell’apertura del vasetto dormendo, e non aveva saputo resistere!

«Che faccio? Lo butto o lo mangio?» le chiese.

Lei lo guardava fisso.

«Mi sembra buono.»

«Mrrroà» sottolineò lei, continuando a fissarlo.

Accertato, con un cucchiaino, che la modesta quantità di yogurt da poco ingerita non era incompatibile con la vita, le porse il coperchio che, in 0,2 decimi di secondo, lucidò a specchio. Le spalmò il coperchio con un altro strato, superando ancora una volta sé stesso come molte volte aveva fatto in quei giorni, e la Pallina dimostrò di gradire anche il bis. Poi tornò a schiacciare un pisolino mentre Armido finiva di fare colazione.

Fuori pioveva, il che si traduceva in “giornata dedicata alla lettura”.

Ore 16:00: ora del pettine.

Ore 20: finito di risistemare alcune cose lasciate in disordine durante la sua permanenza.

Ore 23: piove ancora, Pallina opta per una pipì nella lettiera.

E fu sera e fu mattina, giorno sette.

Ore 8:45: Pallina vuole mangiare e uscire (non era uscita alle 5.30 perché pioveva ancora).

Ore 12:12: tornano i vacanzieri con tutti i loro bagagli.

«Com’è andata?» chiese loro Armido sorridente.

«Insomma» attacca suo cognato scaricando le valige, dopo che i bambini erano già corsi a cercare Pallina in giardino, «è piovuto spesso, siamo stati abbastanza sfortunati. L’unica contenta è Giulia perché dice che a stare in casa con la pioggia le sembra di essere nella nave dei pirati in mezzo a una tempesta. …bambini» disse scocciato.

«Beh, allora è stata l’unica a non farsi rovinare la vacanza dalla pioggia!» considerò Armido, scoppiando in una risata.

Il cognato lo guardò e tornò al suo dovere di uomo di fatica.

Anche Armido prese due valige e le stava lasciando in ingresso quando vide sua sorella nervosissima.

«Beh? Che c’è?» le fece lui.

«Guarda il pavimento! Sono usciti a cercare la gatta e poi sono rientrati sporcando dappertutto… aaah…»

In quel momento gli si parò davanti Dario, il più grande dei due, con un mattone di fango tra le mani: «Guarda zio, ho fatto un dolce per oggi! Mangi con noi?»

«Oh, ma certo!» replicò Armido con entusiasmo, «Mettilo lì sul marciapiede così si rapprende per bene e sarà pronto per dopo!»

Ricomparve la sorella: «Ehi, ma non ti riconosco più! Ma non sei quello che di solito si lamenta sempre? Ti vedo in gran forma invece!»

«Oh, beh… non è mai troppo tardi per imparare alcune cose… comunque muoviti che prepariamo il pranzo assieme!»

«Okkkei» fece lei stupita e felice.

Ore 14:10: pranzo tutti insieme.

Ore 15:30: saluti e rientro di Armido in casa sua.

Sul divano, ripensò a quanto lui stesso si sentisse cambiato. Il punto non era il perché o il come, notava solo con grande incredulità quanto si stava sentendo bene in quel momento! Il velo di negatività che una volta ricopriva tutte le cose sembrava essersi dissolto.

E addirittura aveva già un po’ di nostalgia di Pallina. Pazzesco!

Si disse che non poteva permettersi di ritornare a essere quello di prima, anzi, non voleva!

Per prima cosa decise allora che si sarebbe annotato per iscritto degli avvenimenti degli ultimi giorni, e che da lì avrebbe continuato tenendo un diario, il diario del suo cambiamento sul quale avrebbe riformulato problemi e soluzioni di ogni giorno.

Solo così avrebbe potuto confrontare, capire ciò che in lui gli piaceva di più e ciò che gli piaceva di meno, e fare caso a ciò che lo faceva sentire davvero bene con sé stesso e con gli altri.

Scrisse dunque tutto l’accaduto delle ultime due settimane, dal bambino con l’aeroplano alla vecchia, dalla Paola alla Pallina e compagnia bella.

Solo alla fine si ricordò dell’ultimo litigio con sua sorella, avvenuto non per colpa della tazza di camomilla ma a causa del suo umore nero dovuto alla stupida rottura della gruccia. In quei giorni aveva affrontato le cose senza pensare a fenomeni avversi, alla fortuna o alla sfortuna e ad altre cavolate che da sempre occupavano la sua mente. Aveva vissuto e basta! Capì solo in quel momento di sentirsi semplicemente più leggero e, allo stesso tempo, pieno di risorse latenti che avevano solo bisogno di essere messe in gioco senza il peso delle paure.

Decise in quel momento che alla domanda “Come va?” non avrebbe mai più risposto “Tiriamo avanti”.

Alessandro Navari

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