
È di certo esperienza vissuta da tutti almeno una volta nella vita, a casa propria o in un qualsiasi luogo pubblico, quella di trovarsi nel momento del bisogno e dover correre al gabinetto. Quasi altrettanto comune è quella di trovare, una volta giunti a destinazione, che cosa? L’acqua da tirare! Capire che ci si trova in una situazione di questo tipo è estremamente elementare, anche grazie ad alcuni indicatori specifici che sono stati isolati nel tempo e ci aiutano a individuare con una discreta precisione la natura del problema: presenza nel water di materiale organico, quasi sempre galleggiante, dalla consistenza solida o semi-solida; presenza di un tappo di carta igienica stropicciata e sciupata che copre tutta la superficie interna della tazza; acqua di colore giallo, verde o marrone; presenza di un prepotente odore acido nell’aria, comunemente detto “puzza”, che bacia i nostri umani centri olfattivi.
Nella speranza che questo breve prologo abbia evaso un’esaustiva risposta alla domanda di chiarezza circa il fatto in questione, si va ora a denunciare, con grande rammarico, l’imperituro problema che si associa all’inatteso incontro con un water non propriamente pulito e ordinato: l’accesso di collera. Ci si arrabbia insomma, si perdono le staffe! A causa del senso di schifo, di indecenza, talvolta preparato dalla puzza che può avere invaso anche i locali adiacenti, non si può resistere. Ma non è finita qui. Non è sufficiente alterarsi, tirare l’acqua, fare ciò che si deve fare e poi, azionato nuovamente lo sciacquone, dire: «Ma sì dai, per una cosa così! Ormai è acqua passata!». No, certo che no! L’essere umano è per sua natura iracondo, ha l’accusa facile e si scaglia subito alla ricerca del colpevole di quella dimenticanza imperdonabile, inaccettabile, disonorevole. Ricerca per modo di dire, perché a prendersi la colpa sono quasi sempre i più piccoli e gli adolescenti. «Goffredo, ti sei dimenticato di tirare l’acqua!!!», si sente sempre tuonare dal bagno, e le scuse del piccolo non servono mai a nulla. Che dica che non è stato lui ad andare in bagno perché è appena tornato dalla piscina e l’aveva fatta là, o che neghi dicendo che lui l’acqua era sicuro di averla tirata, non fa differenza: «Sono tutte scuse, non c’è una volta che tu lasci il bagno in ordine. Vergognati!» O ancora «Vedremo quando andrai via coi tuoi amici o con la tua morosa che figure farai, ti rispediranno a casa chiedendoti chi ti ha insegnato a stare al mondo! Senti che tanfo, mamma mia! Vergogna!!!».
Insomma: litigi familiari, energie negative, scontri generazionali, malumori e malelingue tra colleghi, amicizie rotte per sempre. Ma anche fidanzamenti o, peggio, matrimoni irrimediabilmente naufragati a causa di uno sciacquone non azionato, soprattutto se dopo “quella grossa”.
Alla luce di tutto questo, non è che da considerarsi un problema grave, da non sottovalutare, al quale bisogna trovare al più presto una soluzione!
Fu così che un bel giorno decisi che ci avrei messo del mio per venirne a capo, pensando che un contributo in favore di tale causa, per quanto piccolo, non potesse guastare. Ho iniziato la mia ricerca, la quale mi portò, in un percorso durato anni, in lungo e in largo sulle terre emerse e fino alle più remote profondità dei sette mari. Molte volte ho pensato di rinunciare, devo ammetterlo, ma a dirmi che non potevo mollarla (la ricerca, si intende) era sempre la consapevolezza che una verità non rivelata c’era, e prima o poi l’avrei portata alla luce. Tanta tenacia spesi, e di tempo ancor di più! Alla fine, inaspettatamente, mi ritrovai in mano un documento, e ci misi poco a rendermi conto che era proprio la prova che cercavo! “Finalmente!”, mi dissi dopo averlo decifrato, bisognava renderlo pubblico il prima possibile per salvare l’umanità dallo sfacelo. Era una specie di pergamena che trovai in una biblioteca nascosta tra le rocce di un golfo, in una caverna piuttosto buia che si apriva in fondo a un lungo cunicolo. Non so dire il nome del luogo in cui mi trovavo, perché quando vi giunsi ero troppo stanco e, quando ebbi davanti il manoscritto, fui troppo felice per memorizzare dell’altro. Memorizzare, sì. Non ho potuto portarlo con me (anche se sarebbe stato il mio desiderio più grande) perché a vegliare su quello e sui moltissimi altri testi contenuti in quel misterioso e gigantesco archivio nel quale mi ero imbattuto c’era una presenza curiosa, di bassa statura e dalle orecchie a punta. Sembravano folletti, almeno per quanto mi consentiva di vedere la penombra, che, in quell’antro dove solo il dolce sciabordio dell’acqua faceva eco sulle pareti rocciose, si muovevano con passo muto e lesto da una parte all’altra: alcuni lungo le file di libri, altri appesi a delle funi a lustrare la roccia; alcuni intenti nello studio di qualche manuale, altri a comporre miniature e altri ancora a tuffarsi nell’acqua per pescare. Insomma, erano proprio dappertutto e sembravano estremamente indaffarati. A dire il vero non li notai subito, infatti, un po’ intimorito e un po’ emozionato al pensiero di essere solo in quel contesto surreale, mi mossi inizialmente con circospezione per una buona mezz’ora sul sentiero che fiancheggiava una scaffalatura (se così vogliamo chiamarla). Poi, a un certo punto, l’occhio mi cadde su una costola di un libro color marrone scuro, molto sottile, sulla quale era raffigurato un vespasiano bianco. La mia mano lo afferrò d’impulso e lo esaminai: era solo una copertina rigida che conteneva un unico foglio sul quale c’era un testo scritto in una lingua incomprensibile. Capii subito, però, che la cosa era interessante perché sotto al titolo era raffigurato un omino che tirava la catenella dello sciacquone, e sopra a questo una sbarra rossa molto marcata che tagliava l’immagine trasversalmente. “Divieto di tirare l’acqua?”, pensai tra me. In quel momento, neanche a farlo apposta, un omino come quello dell’immagine mi si avvicinò, come se avesse colto il mio desiderio di comprendere. Non mi sentii impaurito o minacciato ma, al contrario, rassicurato dalla sua presenza e ben accolto. Prima che potessi dire qualcosa mi salutò con un cenno del capo, al quale risposi in egual modo, quindi iniziò a spiegarmi (nella mia lingua!) che cosa avevo in mano. Solo in quel momento feci caso agli altri esserini simili a lui, che però erano troppo occupati per notare la mia presenza. In sintesi, mi disse che non avrei potuto portare via il manoscritto, il quale faceva parte della sezione “Scuola Esseri Umani”, ma che lui me lo avrebbe letto traducendolo nella mia lingua; mi disse inoltre che quel documento era una matrice, ossia uno dei testi sorgente che servivano da linea guida ai folletti incaricati di impartire lezioni agli esseri umani. Nel caso specifico, si trattava della spiegazione dettagliata del motivo per cui gli esseri umani dovevano smetterla di lanciarsi reciprocamente delle offese attraverso le quali si paragonassero l’un l’altro a escrementi; fino a che gli umani non avessero imparato la lezione, i folletti incaricati non avrebbero permesso ai soggetti di tirare l’acqua dopo aver evacuato, distraendoli o impedendo allo sciacquone di funzionare. Dal mio zaino presi carta e penna per fissare il tutto con qualche appunto, con l’intento di riscrivermelo meglio una volta tornato a casa. Era proprio quello che cercavo, non aspettavo altro!
Lesse, e presi nota. Quindi gli chiesi di rifarlo, questa volta solo per ascoltarlo senza dover concentrarmi sulle annotazioni. Mi disse poi che non c’era altro di strettamente inerente all’argomento, e ci credetti. Quello bastava e avanzava. Una lezione indice della grande saggezza di quel popolo, di cui non conosco il nome, che ci educa e ci assiste nel quotidiano senza mai farsi vedere. Molte altre cose sarebbero state da approfondire sul loro affiancamento agli esseri umani, ma al momento avevo concluso la mia ricerca più urgente e, con un cordiale saluto e un accorato ringraziamento, mi congedai. Sai mai che in futuro torni sui miei passi per scoprire di più su di essi e sul loro operato! Intanto vi riporto qui di seguito la stesura in bella copia del documento di cui vi ho parlato. Oltre alla grande soddisfazione che ne deriva, la trovo una grande lezione di vita per me e, spero, anche per voi.
LECTIO FECAL

Sì, proprio così!
Ma analizziamo innanzitutto la materia in oggetto: l’escremento propriamente detto è quello con una forma ben definita, che potremmo descrivere come un cilindro abbastanza regolare dalla superficie più o meno ricca di solchi e scissure (come il cervello). Questo differisce dalla “cacca molla” che è l’escremento nel suo stato più morbido, malleabile, e anche dallo “sguaràus”, che indica nello specifico una consistenza che sta tra la cioccolata calda e il caffè che, dunque, si adatta, o meglio cola sopra la superficie sulla quale precipita. Introdotto ciò, possiamo apprendere la prima lezione fondamentale: non importa la forma, il colore, l’odore o il nome diverso, perché in fondo la sostanza è la stessa. È o non è una garanzia? Ci si può fidare!
E non solo da un punto di vista, diciamo così, fisico-chimico. Infatti se a noi fosse chiesto di definire la merda come buona o cattiva, cosa risponderemmo? Forse il primo pensiero dice cattiva, ma per un pregiudizio che associa buono o cattivo al senso del gusto, come vale per i cibi. Ci rendiamo conto di come la mente lavora a scapito delle cose naturali? In realtà la cacca è sempre buona, ci vuole bene! Eh sì!! Provate voi a non fare la cacca per tanti giorni… vi sentirete scoppiare, non potreste continuare a vivere in quel modo! Noi, come gli esseri umani, ne dobbiamo produrre sempre, a ciclo continuo, dobbiamo diventarne una centrale erogatrice, e dall’altra parte lei, per il nostro bene, nasce, cresce, matura e poi va per la sua strada, magari a concimare il terreno e quindi a fare del bene anche all’ambiente. Inoltre, con le diverse forme, colori e odori che può assumere ci dice com’è il nostro stato di salute e come sta il nostro intestino. Stupefacente! Chi glielo fa fare?! Lo fa per noi e basta, e spesso in cambio non riceve nemmeno un grazie! Facciamoci tutti un esame di coscienza.
Certo non si può non fare un breve accenno a quegli stronzi un po’ stronzi che si mimetizzano sul marciapiede e infilano nelle fessure delle suole delle scarpe alla prima distrazione: è vero che arrecano agli umani un danno e un motivo per imprecare… ma è tutto reversibile, e alcuni dicono porti anche fortuna! Insomma, la cacca è buona e la sua funzione è fare del bene: seconda lezione.
La terza invece ha a che fare con lo stronzo in sé, quello bello solido, poiché esso ci insegna che se siamo troppo spigolosi e duri (per esempio, di carattere), la gente tende ad eliminarci il prima possibile dalla propria vita perché facciamo male e diamo fastidio. Molto meglio essere morbidi, con una forma e un carattere, sì, ma dalla superficie liscia e che si adatta anche ai passaggi stretti della vita, essere flessibili ed elastici. Per fare questo, cioè per stare bene prima di tutto noi stessi ed essere flessibili, (lo stronzo lo fa!) bisogna bere molta acqua! Quarta grandissima lezione!
Io devo dire in tutta sincerità che l’aver cambiato punto di vista mi ha sconvolto: una cosa che prima consideravo nulla ora è diventata qualcosa di cui avere rispetto, qualcosa di importante. Ma non è finita qui! C’è ancora una lezione, una lezione di furbizia, astuzia. Si noti come lo stronzo si comporta nelle diverse occasioni della vita: si è abituati a modificare quotidianamente i propri comportamenti in funzione della necessità che ha la cacca di venire al mondo (interrompiamo momentaneamente quello che stiamo facendo, o subito o in differita, per recarci al bagno) ma ci sono dei momenti in cui lo stronzo si fa furbo, veloce, subdolo. Direte voi, si fa un vero pezzo di m…. A dire il vero non sempre, anzi, quasi mai! In questi casi infatti, quando ci coglie di sorpresa costringendoci ad essere attenti e pronti di riflessi, può dilettarsi semplicemente facendosi abito (o veste) di una scoreggia, con una piccola nebulizzazione di sostanza liquida che, portata dal gas, va a colorare come una bomboletta qualunque cosa incontri, oppure può uscire allo scoperto (o, meglio, al non ancora scoperto!) nella sua originaria forma liquida o semiliquida. In quest’ultimo caso si realizza la massima espressione della scaltrezza, della destrezza di cui è capace un escremento: è vero infatti che quella che a noi è sempre sembrata una occorrenza ahimè contemplabile in corso di qualche disordine intestinale è in realtà una gran voglia di divertirsi dell’escremento stesso. Sì ragazzi, è così e per un motivo molto semplice: lui SA BENISSIMO che se riesce a sgusciare via veloce, a scivolare fuori più svelto della chiusa dello sfintere (di cui poi può farsi beffe!) non ci sarà il solito tuffo in piscina ad aspettarlo, bensì un bel tappeto elastico! È!? …o non è!? Con questa, che potremmo dire la quinta e ultima lezione, in conclusione tiriamo le somme: quando diamo a qualcosa o a qualcuno dello s… , della m… o del pezzo di m… pensiamoci bene, perché in ogni caso stiamo facendo un complimento descrivendone bontà, utilità, gratuità o furbizia! Una volta capita bene questa lezione, trasmettetela alle persone umane come meglio sapete fare, ricordandovi che si comincia dando occasione a questi di rimanere il più a contatto possibile con l’oggetto in questione, impedendo che venga spedito subito nella vasca biologica. Buon lavoro ragazzi!
Mi scuso con il lettore per l’argomento di cui si è trattato ma ogni racconto nasce da una necessità, che in questo caso è remota, risale alla mia infanzia. Dovevo chiudere i conti con le innumerevoli accuse che mi sono state fatte ingiustamente, dovevo far emergere la verità. Ora mi sento molto meglio, è come se mi fossi sgravato di un peso. D’altronde, considerato che il racconto è un bisogno, come detto poc’anzi, quando scappa scappa.
Alessandro Navarin