IL RIMEDIO DI ORLANDO

C’erano una volta due nobili possidenti detti Mirto e Bacco, che, da bravi fratelli, decisero un bel giorno di contendersi il primato del sonno. Vollero dunque fare a gara a chi ne aveva di più, quantificandolo ciascuno secondo il proprio metro di misura: uno diceva infatti di avere tanto, anzi, tantissimo sonno; l’altro sosteneva che il suo sonno era invece grandissimo, complessivamente molto più grande di tutto quello che vantava il primo.

A dire il vero inizialmente i concorrenti erano quattro, ma poi le cose andarono in questo modo: un terzo, dopo pochi giorni dal “via”, confrontandosi con gli altri scoprì che in realtà di sonno ne aveva molto poco rispetto a loro e decise di ritirarsi spontaneamente; il quarto che, al contrario del precedente, sulla carta faceva invidia e timore ai primi due, a un certo punto non resistette più e si fece una tale dormita che lo perse quasi tutto subito. Lui, contrariamente alle aspettative, si svegliò così tranquillo e rigenerato che accettò molto serenamente la sua esclusione dalla competizione.

Serenità, la sua, che fece irritare tremendamente i due concorrenti rimasti, che magari si aspettavano di divenire oggetto di invidia e ammirazione.

Mirto e Bacco, determinati più che mai, trascorrevano allora le giornate chiusi nei rispettivi castelli, i quali erano separati tra loro da una vasta e fitta distesa boschiva. Entrambi fecero in modo di riempire di impegni le loro giornate, così tanti da non lasciare che ci fosse mai un momento libero né di giorno né di notte. L’obiettivo era restare svegli ad ogni costo fino a che il rivale non avesse ceduto per primo! E, dato che in questo modo c’era un sacco di tempo in più a disposizione, perché non approfittarne per fare economia? Si potevano infatti gestire affari internazionali da un capo all’altro del mondo a tutte le ore perché, grazie al fuso orario, qualcuno di sveglio c’era sempre! Costrinsero quindi il personale di servizio e gli operai a fare anche turni di notte, per coprire tutte le 24 ore del giorno.

A Mirto un giorno venne però un’idea brillante: quella di conteggiare anche il sonno accumulato dai propri lavoratori che, a dir suo, non si sarebbero mai tirati indietro alla proposta di lavorare ad oltranza per dare una mano al loro signore. Comunicò la sua pensata allo sfidante e la sottopose alla valutazione della Commissione per la Gara del Sonno (CGS). Esito: respinta, subito, perché il patto era che a correre per il primato fossero solo i due nobili partecipanti.

La CGS si componeva di medici, avvocati e notai provenienti da luoghi lontani, svincolati dunque da qualsiasi rapporto di parentela o amicizia con i concorrenti, in modo tale che potessero espletare al meglio il loro compito di giudici al di sopra delle parti. Pagati profumatamente, come da loro stessi richiesto per poter operare con grande serietà e precisione senza il rischio cadere in tentazione (anzi, in corruzione!), si godevano tutte le feste a corte e, quotidianamente, si ritiravano nelle proprie stanze per svariate ore, preferibilmente nel dopo pranzo e di notte, per elaborare e documentare formalmente i loro conteggi.

Mirto e Bacco, oltre a dividersi a metà la proprietà del bosco che separava i due castelli, senza saperlo avevano anche un’altra cosa in comune: la passione per la marmellata ai frutti di bosco e per la crema di nocciole. Loro no, ma i loro servitori e boscaioli conoscevano eccome questo loro tratto in comune! In molti erano infatti gli addetti alla raccolta di nocciole, amarene, ciliegie selvatiche, fragole di bosco, more, mirtilli, ribes, uva spina e sambuco che, nella stagione giusta, dedicavano tutta la giornata a quest’unica occupazione, e per giunta sotto pressione perché lavorassero al massimo della resa.

Lungo la linea mediana del bosco, che segnava il confine delle due proprietà, succedeva infatti di tutto, a seconda di chi bazzicava da quelle parti: coloro che volevano farsi notare per fedeltà e scaltrezza di fronte al loro signore, ambendo a chissà quali speciali riconoscimenti, spesso si dilettavano in furti e dispetti; al contrario, quelli che volevano continuare a stare in pace con il mondo coltivavano le buone relazioni mediante scambi generosi e incontri conviviali (o amorosi). Ma questa, a dire il vero, era normale routine a cui nessuno prestava più attenzione. Ora c’era solo la competizione, tesa più che mai.

Un giorno però le cose cominciarono a cambiare. Quello che all’inizio sembrava solo un fisiologico e temporaneo calo della produzione di nocciole e frutti rossi, cominciò ad aggravarsi progressivamente fino a diventare una vera e propria catastrofe: le scorte, nell’una e nell’altra magione, a poco a poco si esaurirono e non appena i rispettivi titolari ne vennero messi al corrente si fecero prendere prima dalla rabbia e poi dalla disperazione! La prima, ovviamente, portò solo a perdere del tempo prezioso durante il quale il problema si aggravò ulteriormente; la disperazione invece portò consiglio: porgere un orecchio ai consiglieri fidati. Entrambi, di fronte agli ultimi vasetti rimasti sulle scaffalature della cantina, e ignari di trovarsi nella stessa situazione, adottarono la stessa soluzione: diedero ordine ai cavalieri di recarsi presso le corti vicine e lontane per comprare marmellata e crema di nocciole, o almeno le materie prime necessarie alla preparazione; nel frattempo, boscaioli e raccoglitori si sarebbero occupati di scandagliare ogni angolo del bosco al fine di individuare la causa della catastrofe. La mancanza di quelle due prelibatezze infatti, unita al sonno, non faceva che aumentare l’irritabilità di Mirto e Bacco, che diventavano sempre più insofferenti a tutto.

Di conseguenza, in breve tempo nelle rispettive corti non li sopportava più nessuno per quanto erano diventati scorbutici. Non fossero stati i “padroni”, nessuno avrebbe esitato a mandarli a quel paese.

Passarono le settimane e le stagioni, e il caso della mancanza di frutti rossi e nocciole nel bosco non trovava soluzione. Nel frattempo il patrimonio economico dei due andava via via prosciugandosi a causa degli ingenti approvvigionamenti. Era però impensabile tagliare quei costi riducendo gli acquisti, perché quei due avrebbero rischiato davvero la pazzia qualora non ci fossero più state quelle delizie ad addolcire il palato e acquietare l’animo così provato dallo stress della gara. Uno scenario terribile, che si profilava all’orizzonte proprio quando il gioco si faceva più duro. Guai a mollare adesso. guai a macchiare la propria immagine orgogliosa e vittoriosa con una sconfitta! Ma pensare alla mancanza di crema o di confettura era insostenibile: e chi avrebbe mai pensato di trovarsi in una simile situazione? Non era mai successo prima d’ora! E se, a un certo punto, non avessero più avuto nemmeno i soldi per pagare l’onerosa CGS? Di nuovo rabbia e di nuovo disperazione, poi di nuovo rabbia e così via…

Un giorno all’ennesima sfuriata di Bacco con una serva che, secondo lui, gli aveva versato l’acqua in modo troppo rumoroso, Eleonora, la signora madre, sbatté le posate sul tavolo e si alzò di scatto gridando: «Adesso basta!!! …e chiedi scusa!!!»

Il signor figlio Bacco, pietrificato, nel silenzio immobile calato nella sala volse lo sguardo alla serva e le bisbigliò uno «…scusa.» Poi abbassò di nuovo lo sguardo e la serva, dopo un inchino, si allontanò (senza nascondere un certo imbarazzo).

«Oggi incontrerai una persona che ho convocato qui a corte nel primo pomeriggio. In silenzio ascolterai quello che ti dirà, quindi mi occuperò io di congedarla con le giuste maniere, che oramai sembra tu abbia perso assieme al senno.»

«Signora madre, io…»

«Zitto!»

Il pranzo terminò in silenzio, tanto era lo stupore in tutti i commensali per l’aver visto il loro signore nei panni di un figlio docile e impaurito. La madre, riprendendo il suo ruolo con polso, aveva saputo far fronte ad una situazione da troppo tempo fuori controllo.

Tuttavia, che cosa avesse in mente, e chi fosse questa persona che lei aveva convocato a corte, nessuno lo sapeva.

Erano quasi le ore 16 quando, nel silenzio del cortile, irruppe l’incedere di un cavallo al trotto che faceva da sfondo a un ridacchiare continuo. Eleonora si apprestò a far aprire il portone d’ingresso e ad uscire per accogliere l’atteso ospite, con un’espressione del viso che comunicava un misto di orgoglio e imbarazzo. In effetti, neanche volendo avrebbe potuto far passare per consueto e ordinario un personaggio che di normale non aveva neppure il cappello! In groppa a un destriero piuttosto vecchiotto, di nome Sacripante, si presentò, al cospetto dei nobili che si stavano disponendo ai due lati della signora madre, niente meno che Tecèto, detto da tutti “il matto del villaggio” anche se lui preferiva farsi chiamare L’Orlando. Amava vestire la sua calvizie con un coloratissimo cappello da giullare, che aveva, appesi alle punte cadenti, dei sonagli che non producevano alcun suono. Il resto dell’abbigliamento variava molto in base, diceva lui, all’outfit che gli consigliava Sacripante la mattina prima di fare colazione (quindi ancora a digiuno dalla sera prima) ma solitamente si componeva di stoffe dai colori molto vivaci e dal taglio anticonvenzionale.

Ma L’Orlando non era chiamato “il matto” per uno di questi motivi: l’appellativo derivava dal fatto che passava le sue giornate a ridere! Rideva forte, rideva piano, sorrideva, ridacchiava… molte erano le varianti, ma tutte sul ridere.

Ovviamente era contagioso e seminava il buon umore anche nelle giornate peggiori per la comunità del vicino paese. Nessuno può dire con esattezza come occupava le sue giornate, ma sta di fatto che tutti i giorni (o quasi) partiva la mattina di andare a inoltrarsi nel bosco selvaggio, quello che non era di proprietà di nessuno. C’è chi diceva di averlo sentito parlare con gli animali una volta, ma sono solo voci. Tornava poi la sera tardi nella stalla al cui interno si era ricavato un mini alloggio dotato, a dir suo, di tutti i comfort. Nessuno sapeva come facesse, ma aveva sempre da mangiare senza chiederne mai a nessuno e, spesso, aveva anche di che aiutare chi ne aveva bisogno. Rubava, direte voi. E invece no! Anzi, grazie al suo udito finissimo – aveva bloccato i sonagli del cappello proprio perché gli davano fastidio – si svegliava subito nel caso in cui di notte ci fossero rumori insoliti provenienti dal paese, molto distante, e in un attimo si fiondava a vedere che succedeva e, scoppiando a ridere, svegliava tutti facendo acchiappare il malcapitato ladruncolo o sventando altre minacce.

Chiusa questa breve ma doverosa parentesi a proposito di Messer L’Orlando (come invece lo chiamavano le donne del paese), torniamo alla corte di Bacco, dove i nobili e, un attimo dopo, il signor padrone stesso, non sapevano se essere più sbigottiti o divertiti. Non si capacitavano di come la signora madre potesse prendere così sul serio un matto del genere ne tanto meno di cosa si aspettasse che dicesse in merito alla drammatica situazione che stavano vivendo. Era forse diventata più pazza di suo figlio, o del matto stesso? Anche suo figlio, incredulo, sembrò sospettarlo, e fece per andarsene con fare disinteressato e nervoso se non fosse stato per lo sguardo autorevole di Eleonora che lo tenne agganciato al suo volere.

Non appena si fece silenzio, prese la parola lei:

«Ho qui convocato Messer L’Orlando perché, da profondo conoscitore dei boschi quale egli è…»

Risatina del giullare, che fece sogghignare i presenti.

«…ha da proporre una soluzione al problema della carenza di frutti rossi e nocciole, causa della nostra caduta libera verso la miseria, sempre più prossima quanto più tempo passa, nonché rischio per la salute di mio figlio, già duramente provata da una competizione sulla quale preferisco non esprimere il mio personale giudizio. Dunque la parola a Voi, Messere.»

«Ahahaha!!! Ehm… dunque… Ehilà! Allora. Giusto due parole. Signore (nel senso di signor padrone della corte), Signora (nel senso di lei, sola signora donna) e signori voi tutti che Sacripante, mentre lo legavo prima di entrare, mi ha chiesto di salutare. Dovete stare sveglio per vincere la gara e, in più, avete problemi con il bosco. La soluzione, a mio cavalleresco parere, che tra l’altro condividevo poc’anzi con Sacripante, è che voi quanto prima, direi di notte verso le 23.30, andiate nel bosco fino al lontano limitare della vostra proprietà, cioè fino alla rete in mezzo al bosco per intenderci… con parole spicce, ecco… avete capito. Ecco, in quel luogo io ho già provveduto a mettere uno specchio! Lo specchio è fondamentale, ma il perché non si può dire. No, non si può dire sennò… sennò niente, ecco. Ma c’è di più: dovete andare là, alle 23.30, vestito di grigio con un panno un po’ peloso che non sia però una pelliccia. Panno: peloso sì, pelliccia no! Ahahah!!! Dovrete stare là, rannicchiato su voi stesso fino a mattina, sempre fermo in quella posizione. Non dovete fare movimenti bruschi, mi raccomando! Nel caso vi vengano proprio, al massimo cambiate leggermente la posizione ma molto molto lentamente, e di poco.

Ah, e dovrete fare silenzio. Concessi solo dei bei respiri profondi.

Ecco. Ho finito. Salute a voi tutti e tutte! Il dovere mi chiama, ahah! …ciao!»

Saltellando uscì dalla sala e, dopo un po’, tutti scoppiarono a ridere. Lui però, il signor figlio, non rise. Era irritato per essere stato tenuto in scacco dalla madre. A dire il vero, gli davano fastidio più le risate dei presenti però, che gettavano nel ridicolo la ferma convinzione di sua madre che sembrava contraria ad ogni logica.

Per ripicca quindi, sfogando il suo orgoglio, prese la parola con fermezza dicendo:

«Silenzio! …e sia! Voi tutti ritiratevi nei vostri appartamenti e non fatevi più vedere fino a che non ve lo dirò io. Voi della Commissione pensate a fare il vostro lavoro. Stanotte stessa andremo nel bosco. Voi, a debita distanza per non distrarmi, starete svegli, come me, mentre io farò quello che mi ha detto. La situazione è drammatica e nessuno di voi finora è stato capace di proporre alcuna soluzione… non mi rimane quasi più niente da perdere, ma voi siete ancora alle mie dipendenze e fate quello che dico io!.»

«Ma signore, nel bosco…», fece un notaio.

«Stanotte dovremmo trasferirci dal suo sfidante per i di lui conteggi…» lo aiutò un avvocato, sogghignando sotto i baffi.

«Ci andrete domani, altrimenti rinuncio alla sfida e vi licenzio ora senza il premio di verdetto, che non mi farebbe male considerate le condizioni in cui versa il mio patrimonio.»

«No no signore, come desidera. Stanotte nel bosco!» si affrettò a concludere il notaio che aveva parlato per primo, facendosi portavoce di tutta la Commissione.

La signora madre procurò un mantello con cappuccio grigio e peloso come richiesto. Poi si assentò per qualche ora dicendo che sarebbe dovuta andare a svolgere delle commissioni in paese. Da sola.

La sera, Eleonora tornò che erano le 22, ma alla corte non c’era già più nessuno. Infatti erano partiti e, come previsto, erano giunti al luogo detto dal matto alle 23:30. Quelli della CGS, come da accordi, si erano fermati prima, mentre Bacco, nel buio, si era avvicinato alla rete fermandosi quando, di fronte a sé, vide una sagoma uguale a lui che gli veniva incontro, lentamente. Solo dopo qualche istante aveva capito che doveva essere lo specchio che aveva messo il matto. Si tranquillizzò e, sempre osservando la sua sagoma che lo imitava a qualche metro di distanza, si rannicchiò a terra trovando una posizione comoda e iniziando a rilassarsi, con respiri profondi e regolari. Dopo circa mezz’ora a qualcuno dei presenti, seppur distanti, parve di sentirlo russare, ma ovviamente nessuno si era azzardato a dire nulla.

Attesero tutti in silenzio, come da ordine ricevuto, senza sapere cosa attendere, senza sapere quando e come si sarebbe manifestato l’effetto di quella cosa bizzarra.

Tutti si rendevano conto di stare facendo qualcosa che usciva da ogni logica plausibile, qualcosa che nemmeno un bambino dalla fervida immaginazione avrebbe mai pensato. Eppure erano lì, chi per un ordine, chi per una fiducia cieca in qualcosa che non capiva.

Laura Ometto

Ad un certo punto un fruscio indefinito, appena percepibile, cominciò a diffondersi in tutto l’ambiente circostante. Inoltre, alcuni luccichii qua e là cominciarono a brillare nei punti in cui la luce della luna penetrava le chiome. Ma ciò che più di tutto intimorì i presenti fu la sensazione di un gioco liquido del terreno, degli arbusti e dell’erba tutto intorno. Qualcuno ebbe la sensazione di essere sfiorato per un attimo da qualcosa di morbido, soffice e veloce.

C’era del timore nell’aria, ma nessuno si spaventò al punto di gridare perché, in un certo senso, nessuno provava un vero senso di pericolo.

Ci volle un altro po’ di tempo prima che la luna arrivasse ad illuminare anche il manto dei due nobili e mostrasse che giacevano ora circondati da una coltre di nocciole e frutti rossi, che cresceva mano a mano che questi venivano portati a ritmo febbrile da una moltitudine di piccoli ghiri che si avvicendavano, senza sosta, in quella danza incredibile. Svariati cumuli crescevano attorno ai due, uno da una parte e uno dall’altra della rete che divideva le loro rispettive proprietà.

La mattina seguente, il sole sorse e i ghiri erano scomparsi. Al loro posto si erano radunati tutti i boscaioli, i raccoglitori, le raccoglitrici e tutto il personale di servizio di uno e dell’altro, tutti sbalorditi da quello spettacolo. Nessuno specchio di vetro. Solo loro due, l’uno di fronte all’altro nella stessa posizione, circondati dai cumuli. Da quanto tempo non erano così vicini quei due fratelli?

Il sole che svegliò i due, tuttavia, non fu che quello di diversi giorni dopo.

Aprirono gli occhi cisposi nello stesso momento e si guardarono increduli, avvolti da un intenso profumo di pane appena sfornato. Erano ancora lì, in mezzo al bosco e la rete che ricordavano non c’era più: al suo posto c’erano delle tavole imbandite per la colazione, costellate di vasetti di confettura ai frutti di bosco e di crema alle nocciole, e ceste piene di fette di pane croccante, bevande di ogni genere, frutta e altre prelibatezze. Non capirono, ma, guardandosi attorno e pieni di un’energia nuova, decisero che abbracciarsi poteva essere una buona idea.

Il clima era festante, allegro. E come avrebbe potuto non esserlo dato che ad animare il tutto era proprio Messer L’Orlando? I due fratelli si sedettero vicini, condividendo la sensazione di essersi risvegliati dopo un lungo sonno pieno di incubi e di sogni molto strani. Scoprirono di avere molte più cose in comune di quelle che pensavano, tra cui un patrimonio ridotto all’osso. Ma nessun nervosismo, nessun velo scuro sulla realtà, tutto era straordinariamente leggero e bellissimo.

«Alla fine guarda se dovevano essere proprio i ghiri a insegnarvi che nella vita si può dare il massimo solo se si dorme bene… ahahaha!!!» disse Orlando ai figli che aveva creduto di aver perso per sempre.

I due si guardarono: «I ghiri!?» esclamarono all’unisono.

Lui invece si voltò a dare un bacio alla signora madre, seduta di fianco a lui.

Alessandro Navarin

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