LUMACA MANENT

C’era una volta un riccio che si sentiva sempre a disagio perché aveva la forma di una palla. “Fortuna che ho gli aculei!” si diceva ogni mattina, “almeno quei bulli antipatici si terranno alla larga per paura di pungersi! Ah, che vita difficile…”.

Alla stessa scuola andava una tartaruga, che era invece presa di mira per due motivi: uno perché aveva la pelle tutta a grinze che la faceva sembrare vecchia, due perché era lenta. “Meno male ho questo guscio duro”, si diceva per farsi forza, “così quando mi saltano sopra o mi lanciano qualcosa addosso io nemmeno me ne accorgo!”. L’anno dopo arrivò però qualcuno che pareva essere ancora più sfortunato di loro: era una lumachina, che si era appena trasferita lì. Dato che nessuno l’aveva mai vista prima, rappresentava per tutti “la novità” e divenne ben presto lo zimbello di tutti, dando così ai primi due un breve (breve) periodo di tregua. La canzonavano per tre motivi: uno perché era lentissima (ancora più della tartaruga!), due perché lasciava una scia di bava sul pavimento ogni volta che passava da un’aula all’altra e, tre, perché il suo guscio fatto a chiocciola sembrava uscito direttamente dall’epoca barocca e tutti vedevano come ridicolo e fuori moda.

Facile immaginare quanto fosse difficile per loro tre svegliarsi tutte le mattine, ad eccezione della domenica, con il pensiero di dover affrontare un’altra giornata a scuola. Quei compagni sembravano non trovare proprio nulla di meglio da fare: i maschi, così spontanei in battute sempre diverse e ricercate, stavano sui soliti argomenti per far ridere le femmine; quelle, d’altro canto, o ridacchiavano per le battute dei maschi o facevano commenti a bassa voce sghignazzando tra di loro. E poi, una dopo l’altra, le occasioni si moltiplicavano nelle pause tra le lezioni e quanto mai durante l’interminabile intervallo che, per direttive della Presidenza, era vietato trascorrere standosene buoni buoni seduti al proprio banco. Ogni mattina era come un conto alla rovescia passato a subire senza avere il coraggio di controbattere a nulla, anche perché bastava provarci che si sarebbe solo fornito altro materiale utile al nemico per la sua interminabile produzione derisoria, come avevano dimostrato alcuni timidi e inutili tentativi iniziali. Cosa poteva uno solo contro tanti, anzi, praticamente tutti? Era frustrante, e diveniva sempre più insopportabile per tutti e tre i compagni-bersaglio mano a mano che il tempo passava, considerando anche il fatto che tra loro si conoscevano solo di vista e mai avevano osato guardarsi negli occhi ne tanto meno parlarsi.

Guai se qualcuno avesse pensato che solidarizzassero tra loro, sarebbe stata una catastrofe, ancora peggio di quella che già era stata fino a quel momento la loro vita scolastica.

Erano infatti non solo diversi dagli altri, ma diversi anche tra loro per aspetto e provenienza. Riccio era il secondo di due figli in una modesta famigliola residente lì in paese da sempre. Conoscevano tutti e tutti li conoscevano, ma amavano la loro tranquillità partecipando poco o per nulla alla vita politica e sociale, ne a quella di piazza ne, men che meno, a quella in campo sportivo. Nei giorni feriali frequentavano il lavoro lui e la settimana enigmistica lei; nel fine settimana onoravano invece la tradizione di scambiare quattro chiacchiere con i loro amici storici trovandosi a casa ora di uno ora dell’altro.

La famiglia di Tartaruga era invece di altra estrazione sociale essendo stato, suo padre, prima dell’attuale pensione, un ambasciatore; entrambi di origine estera, stanchi della vita sotto i riflettori tra i palazzi del potere, i suoi avevano deciso un bel giorno di trasferirsi in Italia in un paesino qualsiasi dove poter ricominciare da capo, sconosciuti e tranquilli, pur mantenendo il loro abituale stile di vita che, nonostante la loro innata sobrietà, per livello di agio e cultura non sarebbe mai potuto passare del tutto inosservato in quel contesto rurale che, per estetica e cultura media, era decisamente ruspante.

Quanto alla Lumachina, lei con i suoi due genitori, le sue due sorelle, suo fratello e i quattro nonni potevano dirsi davvero, in quella provincia, gli ultimi arrivati; a dire il vero, non si erano mai fermati a vivere nello stesso luogo per più di tre o quattro anni, con grande e ma oramai abitudinaria insofferenza da parte di tutti. La mamma si occupava da molto tempo di ricerca sulle origini dei suoni e degli strumenti musicali e per questo motivo, non appena trovava un luogo particolarmente interessante per motivi che a spiegarli sarebbero stati incomprensibili ai più (compresi i suoi familiari), manifestava la necessità di trasferirvisi. Essi allora sempre la appoggiavano e poi, loro malgrado, la seguivano. Era vero che aveva al suo attivo pubblicazioni ritenute preziosissime dalla decina o due di esperti che nel mondo sapevano stimarne con competenza il valore, ma chi la seguiva da molti anni lo faceva solo per via del luccichio dei suoi occhi soddisfatti e dall’energia positiva che emanava quando poteva dedicarsi a ciò per cui viveva con la vicinanza di coloro che amava. A loro comunque dedicava tutto il suo tempo libero. Ogni volta cercava una casa vicinissima alla scuola e al centro del paese per poter economizzare il più possibile sulle tempistiche degli spostamenti della tribù. In tutto ciò, il marito si doveva trovare (o almeno cercare) sempre nuove occupazioni, mentre dei due nonni materni, che fortunatamente potevano dirsi ancora attivi, uno si occupava della casa e l’altra dei nipoti; a turno, poi, anche degli altri due anziani di casa.

Riccio, Tartaruga e Lumachina erano dunque tra di loro tre perfetti sconosciuti, in sezioni diverse e con insegnanti diversi. A scuola erano però accomunati non solo dal triste ruolo di bersaglio affidatogli dai compagni, ma anche dal tristissimo ruolo di “pecora nera” conferito con voce unanime a ciascuno di loro dai collegi docenti delle rispettive classi. Questo perché, oltre ad essere stati notati fin dai primi giorni come asociali e un po’ scontrosi con i compagni, dimostravano chiaramente di non volersi integrare nel gruppo classe, che per il resto era ben coeso e partecipativo, rovinando così anche i risultati di chi si trovava a dover lavorare con lui o lei in qualche attività di gruppo.

Le opinioni degli insegnanti su ciascuno di loro erano praticamente sovrapponibili. Riccio, per esempio, era considerato un tipo burbero e schivo dalla sua insegnante più vecchia, una talpa, la quale non perdeva occasione di ripetere ai genitori che loro figlio avrebbe dovuto assolutamente tagliare o smussare quelle pericolosissime spine delle quali si era circondato; aveva cominciato il primo anno a scrivere numerose e arzigogolate note sul registro con l’intento di stimolare una reazione di cambiamento che riportasse il ragazzo sulla strada della buona condotta dal punto di vista comportamentale ed estetico ma, non vedendo risultati, aveva deciso un giorno di cominciare a punirlo con i voti, stabilendo che un ragazzo che non partecipa in classe e si difende a suon di graffi e pizzicotti meritava di fare doppia fatica rispetto ai suoi compagni per stare al passo e mettersi in riga.

Diversa, ma solo in apparenza, era la sorte toccata a Tartaruga, avendo trascorso l’infanzia in un sistema scolastico del tutto diverso e di livello più alto considerate le possibilità di un ambasciatore: al via delle lezioni nella nuova scuola, era infatti già in possesso di un bagaglio culturale che avrebbe coperto tranquillamente tutto il programma del primo anno e anche in modo più ricco ed esaustivo. Forte di questo, nella convinzione di poter dare il suo contributo alla classe e magari piacere all’insegnante, interveniva spessissimo qualunque fosse l’argomento affrontato. La cosa non durò molto. Gli fu fatto capire che in quel modo creava malumore nella classe e che era normale che i suoi compagni qualche volta lo prendessero in giro. Smise di intervenire ma le burle continuarono sui soliti motivi, con la differenza che ora passava per asociale e disinteressato; inoltre, fioccarono le note per cattiva condotta in quanto disattento durante le lezioni e anche qualche voto negativo a scopo didattico per sottolineare come una compilazione eccessivamente ricca di nozioni e approfondimenti dei compiti in classe fosse in realtà una grave incapacità di sintesi legittimamente punibile sia come errore in sé sia come “fuori tema”.

I genitori di entrambi a poco a poco si sentirono disarmati a forza di prendere rimproveri ora dai docenti ora da proprio figlio. Frustrati dalla propria inadeguatezza come educatori che, sotto forma di fatti e rimproveri e litigi, si parava loro davanti in ogni momento, i genitori di Riccio e quelli di Tartaruga si sentivano ugualmente disarmati di fronte ai loro figli, che ora neanche riconoscevano più da tanto erano divenuti scontrosi e intrattabili: inventavano scuse ogni mattina per non andare a scuola, simulavano febbri di natura ignota e crisi isteriche che neanche una taranta avrebbe potuto contenere.

Come comportarsi?

I genitori di Riccio da sempre credevano nell’inefficacia della linea dura così, a parte blandi rimproveri e monologhi (della mamma) che narravano al figlio i possibili drammatici finali della sua esistenza se avesse continuato a non cercare un punto d’incontro con gli insegnanti e con i compagni, non si spingevano mai oltre e poi cadevano spesso in penose fasi di passiva rassegnazione.

La madre e il padre di Tartaruga, al contrario, spiazzati dalla nuova natura del figlio e dal deplorevole calo del rendimento scolastico, reagirono con ferme punizioni e taglienti minacce. Solo dopo il primo colloquio col professor coniglio ammorbidirono di molto il loro metodo educativo e cominciarono a porsi molte domande, non perché il colloquio fosse andato bene, anzi, piuttosto per il senso di disorientamento con cui ne uscirono. Da che parte stava la verità? O meglio, la realtà? Erano confusi. Il suddetto docente aveva parlato loro di un figlio con lacune che toccavano tutti i punti fondamentali degli argomenti trattati da lui e dai colleghi che, di comune accordo, proponevano di non escludere un’eventuale bocciatura la quale avrebbe favorito da un lato il consolidamento di alcune conoscenze di base e dall’altro avrebbe portato a cambiare i compagni di classe, cosa che avrebbe di sicuro giovato. Con questi infatti sembrava proprio non volerci avere a che fare, forse perché si sentiva superiore a loro? “Non a voler essere scortese, con tutto il rispetto, ma non sarebbe stato meglio insegnare fin dalla tenera età al proprio figlio come si sta al mondo?” disse ai coniugi, che all’udire quelle parole rimanevano di stucco.

Fortunatamente il primo anno si concluse senza bocciature ma con una serie di voti al di sotto della media, di note sul registro e sul libretto e, nella pagella di Tartaruga, un suggerimento scritto di supporto psicologico. Inoltre, dopo pochi giorni i genitori di Riccio vennero a sapere che proprio loro figlio l’ultimo giorno di scuola, all’uscita, aveva lanciato un gavettone alla vecchia e tanto amata professoressa talpa, la quale, in risposta, gli lanciò una promessa di bocciatura per l’anno successivo. Confessò ai suoi che era d’accordo con tre compagni di classe, con i quali aveva legato nel corso degli ultimi due mesi, i quali però alla fine lo avevano lasciato lì da solo nel momento peggiore, con il gavettone bello e lanciato e la professoressa in primo piano che, ovviamente, aveva visto solo lui.

È chiaro dunque come l’arrivo di Lumachina l’anno dopo fosse stato davvero un sollievo per i due, non tanto nel rapporto con gli insegnanti ma per quello con i compagni. Dal canto suo invece, la povera new entry aveva capito al volo che avrebbe dovuto farsi forza e resistere con un dispendio di energia in pazienza e autocontrollo molto superiore alla media. Coincidenza vuole poi che proprio alla sua mamma toccarono i primi colloqui con i docenti, e che questi, oltre a comunicarle la loro preoccupazione ed il loro disappunto riguardo all’aspetto, l’asocialità e la condotta della figlia, lo fecero ponendosi nei suoi confronti come si fa con una persona che, per aspetto e modo di fare, lascia pensare a un certo grado di ritardo mentale. “Signora, scusi se glielo chiedo, ma crede che tutti questi cambiamenti abbiano fatto bene alla crescita di sua figlia?”, “Di che cosa si occupa suo marito? Come scusi, sta cercando lavoro? Non ha un titolo? E lei?? ..di suoni, dice? Ma non crede che sarebbe meglio occuparsi, con tutto il rispetto, dei suoi figli? Sua figlia si trova in difficoltà di fronte a un test a crocette, a un questionario a scelta multipla, capisce?? Posso capire la sua passione, sì, scusi, lavoro. Ma…” “Da dove mi ha detto che venite?”.

Dopo una cosa che fu quasi un monologo al quale la mamma di Lumachina assistette con pazienza e un certo grado di interesse, sulla strada di casa ebbe modo di ragionare e rielaborare il tutto. A casa poi ne parlò col marito. Alla figlia disse, rimanendo sul vago, di studiare un po’ meglio e provare ad applicarsi facendo più esercizi di quelli suggeriti come compiti a casa. Per quanto riguardava i suoi compagni bulli le disse invece che ci avrebbero pensato i suoi insegnanti a mitigare il clima e calmare le acque, come le avevano promesso al colloquio.

Il lunedì seguente, però, accadde un fatto.

Sul quotidiano locale uscì un breve articolo che scosse (a dir poco) la monotonia di quel paesetto, riuscendo in poco tempo a concitare braccia mani e voci dalla piazza alla scuola. Insomma, un tipico esempio di fulmine a ciel sereno. Dal suddetto articolo pareva proprio che quella che era sempre stata considerata una mediocre scuola di provincia pareva essere una scuola seria! Anzi, ma quale scuola seria: un’eccellenza! L’entusiasmo dell’opinione pubblica schizzò a mille. Ma quando era avvenuta questa trasformazione, questo salto di qualità di cui nessuno aveva mai letto o sentito parlare prima di allora? In ogni caso bisognava diffondere subito la notizia, farne un caso nazionale! Per una volta sarebbe stato un motivo per far parlare di sé. E, per di più, andarne anche orgogliosi!

Ma bisogna leggerlo, l’articolo, per capire bene di che cosa si sta parlando. Eccolo dunque riportato qui di seguito:

Buongiorno e un caro saluto a tutti i lettori. Sono l’ultima arrivata, assieme alla mia famiglia, nella vostra comunità, dunque fino ad ora ho avuto il piacere di conoscere solo pochi di voi. Il nostro approdo alla vostra terra è stato solo l’ultimo di una serie di traslochi che sono, da sempre, un ritornello che cadenza la nostra vita scandendola in periodi di tre o quattro anni e che si rende necessario a causa delle mie personali quanto peculiari esigenze lavorative. Fortunatamente il nucleo è solido e ho sempre trovato approvazione nonostante sacrifici e disagi che, da parte mia, riconosco e cerco di alleviare il più possibile. Sì, mi ritengo molto fortunata. Non voglio però occuparmi di questo nel presente articolo, perché, a dire il vero, è un altro il motivo forte che mi ha spinta a chiedere la cortesia di questo spazio. Non sono una giornalista, perciò mi scuso se la forma non è perfettamente coerente con il contesto, ma dopo qualche mese di frequentazione delle scuole medie paesane da parte della mia figlia maggiore non ho potuto esimermi dall’esprimere per iscritto e pubblicamente quello che penso nei confronti di questa nuova e spiazzante esperienza scolastica: qualcosa di stupefacente! Dopo aver conosciuto molti istituti e insegnanti diversi, dichiaro che mai come ora ho stimato tanto un’organizzazione, una scelta di programma così matura e moderna, un corpo insegnanti così competente, disponibile e flessibile. Di solito si pubblicano solo le lamentele, al fine di renderle più incisive e taglienti oppure per stimolare una punizione per così dire “sociale”, invece per me si è inaspettatamente reso necessario pubblicare un sentitissimo e, a mio parere meritatissimo, encomio al miglior esempio di istruzione con il quale sia mai venuta in contatto, che sa integrare lezioni teoriche e pratiche favorendo l’acquisizione di competenze su tutti i livelli mediante esercizi in apparenza banali ma che fissano efficacemente un sapere così solido da essere il miglior fondamento per qualsiasi scelta matura. Con basi di questo tipo, per l’alunno si tengono veramente tutte le porte aperte e non, come spesso accade, solo quelle legate alle poche materie che si ha avuto la fortuna di svolgere decentemente. Insomma, questa scuola è un vero fiore all’occhiello di questa cittadina e di questo Stato, ed è un peccato che, per il fatto di trovarsi in una realtà rurale e lontana dai riflettori, non possa essere conosciuta e presa ad esempio per migliorarne molte e molte altre. Non mi dilungo ulteriormente per non essere ripetitiva e per non rischiare di smorzare il grande valore del concetto che ho voluto esprimere. Cogliendo questa preziosa occasione per trasmettere anche l’entusiasmo di mia figlia, non meno vivo e, soprattutto, non meno importante del mio, ringrazio nuovamente il Direttore di questa testata per la sua grande disponibilità e sensibilità e faccio i miei migliori complimenti e auguri a questa grande realtà scolastica e al suo prodigioso corpo docenti. Continuate così!!!

Lumaca

Allo stupore dei paesani si specchiava, dall’altra parte, quello degli insegnanti e del preside, che rimasero del tutto sbigottiti di fronte a tale articolo. Non trovavano spiegazioni quelli che non la conoscevano ne, tanto meno, quelli che conoscevano la signora Lumaca mamma di Lumachina.

Se da un lato erano estremamente lusingati da una così generosa pubblicità, dall’altro pensavano fosse diventata completamente pazza. Alcuni però commentavano: “Beh, se tutti i pazzi ci scrivessero articoli così sui giornali… niente male!!!”, e moriva tutto in una risata generale.

Lei però sapeva che cosa veramente voleva ottenere con quell’articolo e, come volevasi dimostrare, fu solo questione di tempo.

Infatti, come auspicato, la voce si sparse da sola, e con questa l’articolo che fu ripreso e commentato da altre testate. E poi da altre e altre ancora.

Recitando la sua parte alla perfezione, alla prima occasione utile comunicò anche ai suoi colleghi ricercatori, sparsi in giro per il mondo, il suo entusiasmo per il tesoro educativo custodito in quel piccolo paesino sconosciuto, e così la cosa destò ancora più interesse a tutti i livelli.

L’eco di quella meravigliosa sorpresa ci mise un po’ ad arrivare in paese, ma, quando arrivò, il preside fu il primo a capire che le cose in fondo non si stavano mettendo così bene com’era sembrato fino a quel momento: infatti era il primo ad avere ben chiare tutte le lacune della sua scuola, le criticità organizzative e logistiche, quelle dei programmi e dei testi adottati che erano gli stessi da anni date le reticenze ai cambiamenti imposti dal ministero (ai quali di anno in anno ci si adeguava cambiando il minimo sindacale obbligatorio) e i punti deboli tra i docenti.

Fu anche il primo a ricevere le prime richieste formali di visita all’Istituto, coronate da complimenti e ringraziamenti anticipati, da parte di personaggi illustri del mondo della cultura come insegnanti e presidi di altri istituti, scrittori, filosofi, intellettuali e giornalisti. Per quanto la cosa lo terrorizzasse, sapeva però che alla curiosità di gente del loro calibro non si poteva rispondere di no. Che figura avrebbe fatto se avesse presentato la scuola così com’era a chi rappresentava davvero un punto di riferimento per il sapere e per l’opinione pubblica? Altroché complimenti gratuiti, quell’articolo aveva scatenato un vero e proprio cataclisma! Credette di sentirsi male! Ma bisognava reagire. O scappare, o reagire. Scartata la prima opzione perché ritenuta poco conveniente, mise da parte per un attimo le lettere ricevute e cominciò a fare delle ricerche, procurarsi documenti e programmare una serie di riunioni urgenti ed obbligatorie con gli insegnanti. Non c’era tempo da perdere e bisognava agire con intelligenza e contro ogni principio tipo “abbiamo sempre fatto così”, cosa che era stata applicata per troppi anni come unico modus operandi. Prendendo un paio di mesi di tempo con la scusa del completamento di interventi strutturali sull’edificio, che in effetti erano in corso, diede il tempo alle cose indirizzarsi verso un nuovo percorso: cambio dei testi e ripristino dei laboratori che, pur presenti e ricchi di materiale a disposizione fin dalla riorganizzazione degli spazi voluta dal preside precedente, giacevano impolverati e dismessi. In tutta questa rivoluzione gli insegnanti, tra una minaccia di sciopero e una di trasferimento, si dovettero concentrare sul nuovo programma riprendendo in mano le lezioni per ripensarle da zero dovendo includervi anche attività pratiche che mai avevano insegnato ma che da piccoli avevano appreso.

Gli alunni spiazzati, dal canto loro, non ebbero più il tempo di distrarsi, in quanto cominciarono a sperimentare un’attenzione diversa da parte degli insegnanti che proponevano loro attività nuove, come lavori individuali o di gruppo che sembravano giochi. Intanto il preside, nei momenti liberi dai litigi con i colleghi, doveva trovare spiegazioni ragionevoli per quei genitori che non avevano capito come stavano andando le cose e si sentivano attaccati da tutti questi cambiamenti. Altri invece non avevano perso la prima occasione per complimentarsi con quell’eccentrica di Lumaca, mamma di Lumachina.

Trascorsi i due mesi, in un battibaleno l’ingresso della scuola si popolò di giornalisti e personaggi di quelli che a sentirli parlare o anche solo a star loro vicini ci si sente pervadere di un’energia nuova, di quelli che ti aprono gli occhi su prospettive inedite e di quelli che ti stimolano mille nuovi interessi e slanci. Almeno uno o due pomeriggi alla settimana tutti gli alunni della scuola dovevano obbligatoriamente fermarsi per ascoltare monologhi che, contrariamente alle proprie aspettative, li catturavano e coinvolgevano come mai si sarebbero aspettati. Di giorno in giorno il clima sembrava a poco a poco distendersi, si cominciava a sentire continuamente il bisogno di cercare, conoscere e provare qualcosa di nuovo, di diverso, e oramai tendevano a fare più domande gli alunni agli insegnanti che viceversa. Si era creato un nuovo circolo virtuoso, una ricerca dell’instabilità in opposizione alla piatta routine di prima. Quella che era cosa di pochi giorni prima sembrò improvvisamente il vecchio ricordo di una scuola che metteva i brividi solo a pensarci. Gli insegnanti stessi sembravano diversi, o forse ormai lo erano. Col passare del tempo, ricevendo complimenti da quelli che anche per loro erano punti di riferimento ed esempi irraggiungibili, a cui magari avevano aspirato ma anche rinunciato molto tempo prima, trovavano una motivazione che loro stessi credevano di aver perso per sempre. Si dedicavano ora con entusiasmo alla classe, alle singole persone che la componevano, trasmettendo interesse e passione ad adolescenti che non sapevano ancora chi erano ma che prima o poi avrebbero scoperto il loro ruolo.

Insomma, tutto era rinato dalle ceneri di un rogo che in qualche modo sembrava ora più che mai essere stato necessario. Le cose non sarebbero potute andare avanti così, certo, ma chi ci pensava e, soprattutto, chi aveva voglia di cambiarle prima? Di certo Riccio, Tartaruga e Lumachina, che per loro carattere reagivano con rabbia e chiusura alle umiliazioni subite, con quell’atteggiamento non avrebbero mai potuto trovare le risorse per innescare un cambiamento di questo tipo.

Poi però cavalcarono, pure con un pizzico di orgoglio, le loro nuove occasioni di rivincita: Riccio durante l’intervento di un noto scrittore, una volpe, imparò che i suoi aculei “sono simbolo di molti pensieri acuti che, assieme, producono un’unica grande e profonda conoscenza della realtà, che solo i ricci hanno” e cominciò a studiare filosofia; Tartaruga rispose con zelo a tutte le domande che il preside di una importante università pose agli alunni per testare l’avanzato metodo scolastico, salvando l’immagine della scuola e guadagnandosi unanime rispetto e gratitudine; Lumachina invece tirò fuori la sua sensibilità per l’arte di qualunque natura, per le emozioni e la bellezza, coinvolgendo la sua classe anche in attività extra-scolastiche di ricerca e sperimentazione sui suoni (condotte dalla mamma) che portarono ciascuno dei partecipanti alla scoperta di capacità creative delle quali non sospettavano l’esistenza.

Alessandro Navarin

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